Santuario di Santa Maria dei Miracoli

Il santuario della Madonna dei Miracoli (Barletta-Andria-Trani, Italia) è una chiesa cattolica in Piazza San Pio X. Custodisce un’immagine della Vergine e del Bambino, che si dice sia miracolosa, raffigurata con dodici stelle (che simboleggiano i dodici apostoli) a destra e il sole (che rappresenta Cristo) e la luna (che simboleggia la Vergine stessa) a sinistra.

Abbiamo raccontato molti luoghi di culto che vengono custoditi in Puglia, luoghi che portano la gente a raccogliersi e venerare le proprie credenze da migliaia di anni.

Gli agostiniani

Papa Alessandro IV fondò l’Ordine di Sant’Agostino nel 1256, riunendo tutte le comunità eremitiche che seguivano la Regola di Sant’Agostino. A partire dal XIII secolo, gli agostiniani erano già presenti nella chiesa di Sant’Agostino ad Andria, fino all’abolizione degli ordini religiosi nel 1807. Dal 1838 presiedono il Santuario di Santa Maria dei Miracoli. L’Ordine agostiniano è presente in 53 nazioni, con circa 3.000 religiosi e 1.800 tra secolari e religiosi. Ci sono circa 1.500 religiosi e 25.000 religiose di diverse congregazioni, oltre a fraternità secolari di laici consacrati e non consacrati. Un cuore fiammeggiante trafitto da una freccia costituisce lo sfondo dello stemma agostiniano. Agostino sentì una freccia trafiggere il suo essere interiore con la Parola di Dio, che interpretò come il Verbo di Dio.

La spiritualità agostiniana della ricerca di Dio, della Verità e dell’Amore attraverso la Parola di Dio, nell’amore fraterno, è la sintesi. È la diversità dei servizi e dei ministeri che le comunità agostiniane svolgono per soddisfare le diverse esigenze della Chiesa. Nel 1807, il vescovo di Andria Giuseppe Cosenza voleva eliminare gli ordini religiosi.(p.56) Gli Agostiniani controllano il Santuario di Santa Maria dei Miracoli dal 1838. Oggi sono presenti in 53 nazioni, con una popolazione religiosa di 3.000 persone e una popolazione claustrale di 1.800 persone. Tra l’altro, vi sono anche 1.500 religiosi e 25.000 religiose di varie congregazioni. Lo stemma agostiniano comprende un libro aperto come sfondo di un cuore ardente trafitto da un libro per simboleggiare il culto di Santa Maria dei Miracoli, con l’approvazione di Ferdinando II di Napoli. Vi sono inoltre più di 1.500 religiosi e oltre 25.000 religiose di varie congregazioni e confraternite secolari di consacrati e non consacrati.

I Padri Agostiniani di Napoli furono incaricati di restaurare il santuario nel 1837, dopo che un’epidemia di colera uccise molti vigneti in Puglia nel 1837 (Cooper). Andria era in gran parte indenne dall’oidio parassitario che distrusse i vigneti nel 1855, così il vescovo di Andria presentò una petizione al Vaticano per ottenere il permesso di incoronare la Vergine. Poiché l’incoronazione fu celebrata con cerimonie solenni e grande piacere popolare nel maggio 1857, la Vergine Maria e il Bambino Gesù ricevettero corone d’oro e il re Ferdinando II, devoto adoratore della Vergine, regalò una rosa d’oro alla Madonna di Andria nello stesso anno. Nello stesso anno Andria fu salvata da un terremoto, per cui lo stesso vescovo Longobardi, che attribuì il miracolo alla Vergine di Andria, chiese a Papa Pio IX di dichiararla patrona di Andria (1858).

Nel 1866, il nuovo Regno d’Italia confiscò tutti i conventi e i beni ecclesiastici secolari. Di conseguenza, gli Agostiniani dovettero abbandonare il monastero di Andria, che fu poi acquistato dal governo provinciale, insieme a tutti gli altri conventi e beni ecclesiastici secolari. Fu nominato un cappellano per servire la chiesa e una bella statua d’argento fu donata dai fedeli nel 1983. Gli Agostiniani tornarono nel 1886 e costruirono un nuovo convento che oggi è stato trasformato in un centro di accoglienza noto come “Villa S. Monica”. La devozione alla Vergine aumentò vertiginosamente, tanto che, nel 50° anniversario della sua incoronazione, nel 1907, il vescovo andriese mons. Staiti fu nominato vescovo di Andria. Papa Pio X concesse alla chiesa lo status di basilica minore, con tutti i suoi diritti e privilegi. Nel 1937 fu costituita una parrocchia, che permise di svolgere tutte le funzioni liturgiche che le erano state a lungo negate.

Storia del Santuario di Santa Maria dei Miracoli

Secondo la tradizione cattolica della laura basiliana di Santa Margherita in Llama, il 10 marzo 1576 fu recuperata un’icona bizantina con la Vergine e il Bambino dopo l’apparizione in sogno di un ragazzo del luogo. La laura fu riscoperta quando fu rinvenuta un’icona bizantina con la Vergine e il Bambino davanti alla quale fu posta una lampada tenuta accesa per giorni da tre scopritori.

Trascorso un certo tempo, uno dei tre dimenticò di riempire d’olio la lampada, che era ancora accesa e piena d’olio. Poiché l’evento fu considerato miracoloso, i tre scopritori lo riferirono al vescovo di Andria. Il 6 giugno 1576 fu celebrata una messa in cui all’immagine della Vergine fu dato il nome di “Santa Maria dei Miracoli d’Andria” in seguito alla scoperta.

Il vescovo di Bari affidò l’immagine della Crocifissione ai monaci benedettini cassinesi della chiesa dei Santi Severino e Sossio a Napoli, che costruirono una prima chiesa detta della “Crocifissione”. Per accogliere i numerosi pellegrini che venivano a venerare l’immagine, nella prima metà del XVII secolo fu costruita una seconda chiesa, quella “superiore”, opera dell’architetto Cosimo Fanzago (contestata da analisi più recenti).

A questa si aggiunse il convento, attuale sede dell’Istituto Tecnico Agrario Provinciale Umberto I e della sede della Provincia di Barletta-Andria-Trani. Dopo che la città fu danneggiata dalle truppe francesi nel 1799 a seguito della Repubblica Napoletana e delle truppe di Ettore Carafa, duca di Andria, gli ordini religiosi furono banditi. Di conseguenza, la chiesa fu abbandonata.

I padri agostiniani di Napoli restaurarono la chiesa della Madonna dei Miracoli di Andria nel 1837, grazie al consenso del re di Napoli Ferdinando II. Il vescovo di Andria, Giuseppe Cosenza, ripristinò il culto della Madonna dei Miracoli di Andria nel 1837 e nel 1855 Andria fu salvata dal colera e dalla distruzione dei vigneti grazie a una malattia parassitaria delle piante.

La Madonna e il Bambino furono entrambi incoronati d’oro come risultato del secondo miracolo. Il 3 maggio 1857, il re, un altro fedele della Vergine, regalò una rosa d’oro alla Vergine, oltre a porre una rosa d’oro sul suo petto.

Nel 1857, il vescovo Longobardi ritenne che la Madonna avesse salvato Andria da un terremoto e la nominò compatrona della città insieme a San Riccardo di Andria.

Nel 1866, quando il Regno d’Italia confiscò i beni del convento e della chiesa, gli Agostiniani lasciarono il convento e consegnarono la chiesa a un sacerdote cappellano. Nel 1983, una statua d’argento donata dai fedeli fu rubata e ricreata.

Nel 1886 il santuario era in cattive condizioni, per cui gli agostiniani furono richiamati e fu subito eretto un nuovo convento, oggi centro di accoglienza “Villa Santa Monica”. Per commemorare il 50° anniversario dell’incoronazione dell’immagine, il santuario fu dichiarato basilica minore nel 1907.

Architettura del Santuario di Santa Maria dei Miracoli

Il santuario è formato da tre livelli distinti. Il santuario è costituito da una chiesa rupestre nota come Santa Margherita (IX secolo).

Qui risiedevano le monache basiliane, che costruirono una sala a tre navate decorata con scene della Bibbia. L’icona bizantina della Madonna dei Miracoli è ancora conservata in questa grotta. È una delle icone bizantine scoperte qui.

La Madonna dei Miracoli è raffigurata sull’icona bizantina come una giovane donna che tiene in braccio un bambino. La Madonna dei Miracoli è una figura protettiva che protegge coloro che hanno bisogno di aiuto. Il Tempietto (XVI secolo) sul grado intermedio comprende tre archi di marmo colorato.

Cappella della Crocefissione

Di particolare interesse è la Cappella della Crocifissione, che presenta bellissimi affreschi. Il livello superiore è stato progettato da Cosimo Fanzago (1591-1678), un’attribuzione che è stata messa in discussione da studi più recenti. L’organo a canne, costruito da Michele Sessa nel 1854, dispone di 22 registri sia manuali che a pedale.

Secondo il Prof. Vincenzo Pugliese, gli affreschi precedentemente attribuiti a Marco Pino da Siena, pittore napoletano che lavorò per il monastero dei SS. Severino e Sossio, sono in realtà opera di Andrea Bordone, artista pugliese attivo dal 1596 al 1629.

Se i duchi Carafa commissionarono la cappella, il benedettino Valeriano di Franco, autore catanzarese del primo resoconto storico del santuario di Andria del 1606, potrebbe averne fornito l’ispirazione teologica. A Valeriano di Franco, fratello di Giovanni di Franco, si devono forse le quattro sibille (persiana, delfica, cumana ed eritrea) e i profeti Davide, Giona, Osea, Isaia e le scene della Passione.

I dipinti che rappresentano la Crocifissione situati nella Cappella della Crocifissione sono stati realizzati entro il 1606, secondo il di Franco, e nelle pareti perimetrali sono raffigurate quattro scene della vita di Cristo, tra cui l’incontro di Gesù con il diavolo nel Getsemani, Gesù che viene frustato, Gesù che viene coronato di spine e Gesù che sale sulla croce, mentre la Crocifissione domina l’altare maggiore senza un crocifisso in gesso, anche se è raffigurato il Calvario; la Deposizione è raffigurata in affresco sul paliotto dell’altare. L’affresco della Deposizione è posizionato accanto alla Crocifissione.

A destra della scena del Getsemani si trova una raffigurazione del re Davide con un messaggio profetico (Mi è stato dato da mangiare e nella mia sete mi hanno dato da bere aceto). Dall’altro lato della scena del Getsemani si trova la Sibilla persiana (Con mani velenose lo percossero e lo coprirono di parole minacciose).

Il libro inizia con il racconto della prigionia di Giona nel ventre della balena (Giona rimase nel ventre del pesce per tre giorni e tre notti). La Sibilla delfica predice l’avvento dell’età oscura (Ecco, verrà il giorno in cui Dio illuminerà le fitte tenebre). Assistiamo alla deprimente scena della flagellazione di Gesù, con Osea che recita (Li libererò dalla morte e li riscatterò dalla morte; o morte, tu sarai la morte di tutti loro, o inferno, tu sarai il loro morso).

La Sibilla Cumana prevedeva il tramonto del sole a mezzogiorno e il conseguente oscuramento del giorno (Il terzo giorno lo farò risorgere). Isaia e la Sibilla Eritrea sono raffigurati ai lati della scena dell’ascensione di Cristo alla croce. Le parole di Isaia dichiarano: Lo punii per le iniquità del mio popolo.

La Sibilla ha predetto: “Mi daranno aceto acre per soddisfare la mia sete e faranno di questi ambienti inospitali una mensa per me”

La grotta

Si ritiene che le grotte di Santa Margherita siano state scoperte da di Franco (1987) quando ha trovato un bacino roccioso. L’aspetto della grotta, come riportato dal di Franco (1987), è chiaramente in contrasto con quello che trovarono coloro che vi entrarono il 10 marzo 1576. In ogni caso, la cisterna era scavata nella pietra. Non si sa se le persone che visitarono la grotta il 10 marzo 1576 avrebbero incontrato la cisterna. La narrazione di di Franco (1987) rivela che la grotta di Santa Margherita era già conosciuta e accessibile prima della scoperta del 1576. (p. 31) Nel 1576, il duca di Andria Fabrizio II Carafa e il vescovo Luca Fieschi fondarono una chiesa e un convento nei pressi della grotta dopo la sua scoperta. Nel 1577, Luca Fieschi formò un’associazione d’affari di 50 cittadini (25 dei quali furono eletti dal vescovo e 25 dall’Università) per raccogliere fondi per la sua costruzione.

A seguito di divergenze con la confraternita, il duca Fabrizio Carafa incaricò il suo amico padre Pietro Paolo di Sinesio, abate delle chiese dei SS. Severino e Sossio a Napoli, di occuparsi della questione. I Padri Benedettini cassinesi, autorizzati dalla bolla di Gregorio XIII, presero possesso dell’area sacra il 20 aprile 1581, dopo aver ricevuto il permesso dal duca Fabrizio II Carafa e aver sviluppato la devozione all’immaginario mariano. La creazione dei monaci, che coincide con l’inizio di un enorme lavoro di progettazione, che comprende un edificio a tre livelli, viene avviata con estrema fretta. L’insediamento dei monaci, caldeggiato dallo stesso Fabrizio II e incoraggiato dalla crescente venerazione per la Vergine, coincide con l’inizio della costruzione, che parte dalla “lama”, la grotta.

I benedettini, che avevano terminato la chiesa iniziale intorno all’immagine della Madonna, costruirono la chiesa della Crocifissione, oggi Chiesa Intermedia; tuttavia, la Chiesa della Crocifissione non era sufficiente a causa del gran numero di pellegrini e fedeli provenienti da paesi esterni ad Andria. In risposta fu progettata una chiesa più grande a livello stradale, la Basilica dell’Eucaristia. Il duca Antonio II Carafa chiamò l’architetto Cosimo Fanzago da Bergamo ad Andria nel 1617 per costruire la Basilica dell’Eucaristia. Fanzago, che stava lavorando a Napoli alle chiese di SS. Severino e Sossio, oltre che alle proprietà dei Carafa, fu chiamato a costruire l’imponente Basilica dell’Eucaristia.

Il progetto originale dell’edificio prevedeva un sostanzioso piazzale davanti alla chiesa dove i pellegrini potevano riunirsi, oltre a una lama che fu tagliata e il suo livello originale del pavimento fu alzato per creare un accesso più facile. È qui che i pellegrini si riunivano e che il riempimento è stato utilizzato per creare la grande cisterna. Per creare la cisterna, il pavimento originale della lama fu alzato e il recinto fu rimosso. La descrizione del periodo inizia nella stanza meridionale, dove si trova l’affresco di Santa Margherita. Ciò indica che l’ingresso alle stanze ipogee era probabilmente su quel lato, forse in corrispondenza dell’attuale porta meridionale di un locale di servizio o sul lato occidentale. Entrando, una delle prime cose che si è notata è stata la presenza dell’immagine di Santa Margherita, a conferma del fatto che l’ingresso all’epoca si trovava proprio di fronte. Nell’area sono stati scavati anche dei sedili.

La camera settentrionale fu ostruita da una frana e quindi la Vergine non fu più vista fino al 1576, almeno nella parte che si è conservata. Un progetto di ristrutturazione del XVI secolo ha rimosso il diaframma roccioso originario che separava le due grotte, come indica il fatto che la navata di Santa Margherita un tempo si collegava a quella dell’affresco della Vergine attraverso un arco. Nelle fonti sono state descritte due grotte, ma l’interpretazione corretta è che si trattasse in realtà di due ambienti interconnessi, separati da pilastri sormontati da un arco. Due ambienti di culto erano infatti divisi da pilastri sormontati da un arco. Resti di questi pilastri si sono conservati presso l’attuale colonna che separa la navata centrale da quella di Santa Margherita.

Il piano di calpestio doveva essere più alto di almeno 120-140 cm rispetto alla navata centrale. L’elemento più significativo della navata è l’abside. Studiando la navata, l’abside è chiaramente l’elemento più significativo. Un dato importante è il fatto che la nicchia absidale ha subito una rotazione di alcuni gradi sull’asse est-ovest: ciò significa che la nicchia affrescata con l’immagine della Vergine non coincide con l’asse attuale della cappella ipogea, ma è spostata a sud, alla destra dello spettatore, in modo che l’immagine sacra non sia completamente visibile attraverso la piccola finestra dietro l’altare. L’abside di Santa Margherita è orientata allo stesso modo, con lo stesso orientamento della parete sud della stanza, dell’affresco di San Nicola.

Prima della trasformazione della cappella, la navata meridionale aveva le stesse dimensioni, sia in larghezza che in altezza; la parete sud era inclinata obliquamente rispetto all’asse attuale della cappella; la parete di fondo era più stretta e avanzata, come l’abside di Santa Margherita. L’abside di Santa Margherita era più ampia di quanto appaia oggi perché era stata tagliata per ospitare l’affresco; sotto di essa si trovava un altare a blocco scavato nella roccia. Un diaframma di roccia o due grandi pilastri sormontati da un arco separavano la navata meridionale da quella centrale. La navata centrale aveva un’abside piuttosto ampia (2 m per 1,80 m), oltre a un altare scavato nella roccia e addossato alla parte arrotondata dell’abside; a sinistra si trovava una piccola nicchia utilizzata per scopi liturgici. Erano presenti anche sedili addossati alle pareti perimetrali e anelli per appendere lampade al soffitto.

L’attuale pianta a ventaglio, molto regolarizzata, potrebbe essere stata realizzata dopo la scoperta. In questa fase, le pareti di fondo sono state violate, la navata laterale nord è stata aperta, collegandola alla stanza laterale adiacente e, successivamente, al resto della struttura. Il lato ovest del complesso, che era stato sigillato da un diaframma di roccia, è stato sgomberato e sostituito da un muro attuale, che è stato rimosso in questa fase. I supporti rocciosi originali furono rimossi e sostituiti con gli attuali pilastri e colonne per sostenere una cappella sopra la grotta, dedicata al crocifisso e affrescata con Sibille e Profeti. Il soffitto fu innalzato in alcuni punti. Gli attuali sedili lungo le pareti furono rimossi.

L’affresco di Santa Margherita e di San Nicola, scoperti nella grotta nel 1574, sono entrambi circondati da una serie di scene della loro vita. Nell’affresco lo spazio è articolato in due celle, una delle quali si trova proprio dietro Santa Margherita. Si tratta di un dipinto di ispirazione bizantina del XIII secolo. Poiché l’affresco raffigurava la Vergine e il Bambino, che la gente credeva avessero poteri miracolosi, in seguito l’intero complesso basilicale fu stabilito lì. La Vergine indossa una tunica di maphorion amaranto, i cui polsi sono decorati con un doppio filo di perline. Il Bambino indossa un himation bianco su una tunica rossa, che riprende lo stesso motivo floreale visto nelle vesti della Vergine. Egli benedice alla maniera greca, tenendo un libro con una mano e offrendo una benedizione con l’altra.

Particolarmente lussuoso è il dossale del Trono a forma di lira, caratterizzato da un ampio schienale e da una griglia regolare sul dossale, che è romboidale a sinistra e quadrata a destra e comprende fiori stilizzati a quattro petali. Sotto il tradizionale cuscino del dossale corre un lungo drappo a strisce rosse e nere alternate. Il committente dell’affresco, una donna con una lunga tunica rossa e un pannolino in testa con sottili strisce scure, che ha voluto essere ricordata in questo modo, è oscurato dalla pendenza dell’immagine in basso a destra. Nell’insieme, la figura della Madonna di Andria è un ritorno a stili più colti, poiché le pieghe della veste sono raccolte sotto il ginocchio in modo caratteristico.

Alla fine del 1500, l’intera facciata della chiesa rupestre fu costruita per commemorare la scoperta del 1576. Dopo la scoperta, i soldati francesi del 1599 saccheggiarono e rasero al suolo Andria (Flores, 2013). Nel 1799, i francesi invasero Andria e distrussero il santuario. Nel 1815 la dinastia borbonica spodestò i ribelli e la Chiesa fu per breve tempo sotto il controllo laico. Monsignor Giuseppe Cosenza, vescovo di Andria nel 1837, volle rinvigorire il culto della Vergine portando i monaci agostiniani, cacciati dal loro convento accanto al santuario, a stabilirsi nuovamente lì (Lubich, 2013). Nel 1855, Andria scampò all’epidemia di colera e la Madonna fu incoronata dal vescovo Longobardi nell’aprile del 1857. Il re Ferdinando II d’Italia donò una rosa d’oro per adornare il seno di Maria come ricompensa per gli sforzi del vescovo Longobardi (Flores, 2013).

Il re di Napoli, Ferdinando II di Borbone, e la sua famiglia erano tra i più illustri devoti della Vergine Maria. Verso la fine dell’Ottocento, la situazione del re era difficile e instabile e gli anarchici tentarono di rovesciarlo. Nel 1859 fu vittima di un attentato e si salvò solo per caso. Questo fu probabilmente il motivo per cui visitò diverse città, tra cui Andria nel gennaio 1859. L’11 gennaio 1859, Ferdinando II di Borbone tornò ad Andria per la terza volta. Nella cattedrale si tenne una messa solenne e successivamente una processione si diresse verso il santuario. Il re era accompagnato dalla moglie Maria Teresa d’Austria e dai figli. Quel giorno il re promise di abbellire la laura; suo figlio Francesco, il deposto re di Napoli, mantenne la promessa nel 1886 con la costruzione di una bella chiesa policroma.

Gli agostiniani furono costretti a lasciare il monastero nel 1882, quando la provincia lo rilevò e lo trasformò in una colonia agricola. Il santuario, tuttavia, fu consegnato alla Curia vescovile, che lo affidò al canonico don Stefano Porro. Quando nel 1889 le autorità religiose e civili di Andria chiesero il ritorno degli Agostiniani per far rivivere il culto della Vergine, il cui culto non si era mai spento, fu costruito un piccolo convento vicino al santuario, sul lato destro, con il titolo di “Villa S. Monica”. Durante il loro ultimo ritorno, gli agostiniani accolsero la proposta del conte Onofrio Jannuzzi e, con l’aiuto del vescovo Giuseppe Staiti, ottennero da Papa Pio X il permesso di elevare il santuario a basilica nel 1907.

Nel marzo del 1576, in occasione della celebrazione del ritrovamento dell’icona della Vergine, il vescovo mons. Giuseppe Lanave e i padri agostiniani si unirono per organizzare i festeggiamenti. In questo viaggio nella storia, ricordiamo la dedizione di mons. Giuseppe Lanave nel coordinare i festeggiamenti per l’anniversario. Nel 1576 fu scoperta l’icona della Vergine e il vescovo mons. Giuseppe Lanave e i padri agostiniani collaborarono per organizzare i festeggiamenti. Nella diocesi di Andria e nel santuario di Santa Maria dei Miracoli, poi, visto lo stretto legame, ricordiamo che i vescovi mons. Galdi, mons. Merra, mons. Longobardi, mons. Jannuzzi e infine mons. Lanave ebbero il desiderio di essere sepolti nella Chiesa-Laura. Di conseguenza, la facciata che si affaccia sul cortile e l’ingresso appaiono molto diversi dalla descrizione di di Franco, perché l’antico portale tardo-cinquecentesco fu rimosso nel 1871 e solo parzialmente riutilizzato nella costruzione della cappella di San Giuseppe.